Guerra fredda del tech – Ue e Giappone rafforzano la cooperazione sui microchip

Bruxelles e Tokyo hanno firmato un memorandum per potenziare la catena di approvvigionamento dei semiconduttori. Una risposta all’embargo cinese sull’export di gallio e germanio, metalli rari fondamentali per la transizione ambientale e tecnologica

Unione europea e Giappone firmano un memorandum per intensificare la cooperazione sui semiconduttori. È la risposta alle restrizioni applicate dalla Cina all’esportazione di due metalli cruciali per buona parte dell’industria dei chip, il gallio e il germanio, che ha alzato il livello di tensione in una guerra commerciale tecnologica globale.

Bloomberg l’ha definito un «allarme preventivo», un controsenso o quasi, che però spiega l’esigenza di Bruxelles e Tokyo di anticipare potenziali intoppi nella catena degli approvvigionamenti dei semiconduttori. Così il ministro del Commercio giapponese Yasutoshi Nishimura e Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno, hanno firmato nella capitale giapponese un memorandum.

E con gli Stati Uniti, Giappone e Unione europea stanno delineando i piani per la condivisione di informazioni sui sussidi governativi, nonché la cooperazione sulla ricerca e lo sviluppo di chip di nuova generazione e lo sviluppo delle risorse umane. Già a maggio il Giappone aveva concordato con Washington una più profonda cooperazione nella ricerca avanzata sui semiconduttori. Tokyo si muove con urgenza per non essere schiacciato proprio dalla Cina nella regione. Sta investendo miliardi di dollari per sovvenzionare iniziative nazionali sui semiconduttori sostenute da aziende giapponesi, ma anche statunitensi e taiwanesi, Paese all’avanguardia nel settore.

La decisione cinese di applicare un embargo ai due metalli rari necessari per la produzione di semiconduttori e di altri prodotti tecnologici – tra cui pannelli solari e veicoli elettrici – sfrutta una debolezza dei Paesi occidentali, spiega il Corriere della Sera: «Mentre l’America mantiene un vantaggio in alcune tecnologie avanzate, la Cina domina in quelle materie prime o componenti che sono essenziali nella produzione delle tecnologie stesse. Non è la prima volta che il governo di Pechino usa questo potere di mercato per negare le sue forniture e mettere sotto pressione altri Paesi. Anni fa, nelle terre rare e metalli strategici, una prima vittima di questo tipo di sanzioni fu il Giappone, la cui industria tecnologica si vide negare materie prime cinesi».

L’embargo cinese è a sua volta in qualche modo una risposta a una serie di restrizioni commerciali volute dagli Stati Uniti proprio nei confronti di Pechino – pochi giorni fa l’Olanda aveva confermato la sua adesione al blocco dell’export delle sue particolari stampanti che realizzano microchip avanzati –, nel tentativo di frenarne la crescita in settori importanti sia sul piano militare sia su quello della transizione ambientale e tecnologica.

L’annuncio dell’embargo, sottolinea il Corriere, avviene alla vigilia dell’arrivo a Pechino della segretaria al Tesoro statunitense, Janet Yellen. «La visita è la seconda di alto livello dopo quella del segretario di Stato Antony Blinken. Conferma un tentativo di disgelo fra le due superpotenze, dopo l’incidente del pallone-spia cinese sui cieli d’America. Le varie sanzioni commerciali incrociate con cui l’America e la Cina si colpiscono, finiranno sul tavolo negoziale della Yellen a Pechino. Per Xi Jinping l’embargo Usa sulle vendite hi-tech è più indigesto dei dazi doganali, istituiti da Donald Trump e mantenuti da Joe Biden».

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